Quando si parla di streaming, è importante prepararsi ad entrare in un mondo fatto di acronimi. Lo streaming ai tempi di SVOD, AVOD e OTT può essere davvero complesso e serve proprio una guida per orientarsi.
Che cos’è lo streaming
Quando si parla di streaming, sono due le immagini che solitamente vengono alla mente.
Da un lato, ci sono coloro che pensano alla pirateria e a siti sui quali si può ascoltare musica o guardare film e altri prodotti in maniera illegale. Dall’altro, ci sono quelli che invece si vedono davanti agli occhi l’immagine di specifiche piattaforme di streaming totalmente legale, che si sono moltiplicate negli ultimi anni.
In realtà, entrambe le definizioni possono essere considerate corrette, benché diametralmente opposte.
Infatti, con il termine “Streaming” si intende una modalità di guardare/ascoltare contenuti online, senza bisogno di scaricarli interamente sul proprio dispositivo.
È possibile usufruire di contenuti in streaming tramite servizi di OTT (over-the-top), cioè media company che tramite i loro sito o le loro app ne permettono la visione. Sono esempi di OTT piattaforme come Netflix, Amazon Prime Video, Disney+, DAZN etc.
Vediamo quindi che cosa significa fare pubblicità online ai tempi di SVOD e AVOD e l’impatto dei diversi OTT.
La nascita dello SVOD
Erano ancora gli anni ’90 quando Netflix ha fatto la sua comparsa sul mercato, prima come azienda di noleggio di VHS e DVD e poi diventando il colosso che conosciamo oggi, soppiantando quasi del tutto il mercato del videonoleggio da cui era nata per diventare, appunto, un gigante dello streaming.
Ad oggi Netflix è uno degli esempi più di successo di una nuova modalità di fruizione dei contenuti: lo SVOD.
La sigla SVOD sta per “Subscription Video on Demand” e descrive quei servizi che permettono agli utenti di vedere film, serie e altri tipi di contenuti in streaming dietro pagamento di un abbonamento.
Questo modello di business, che già stava notevolmente fiorendo nel decennio scorso, ha visto una vera e propria esplosione in seguito alla pandemia di COVID-19.
YouTube e il mondo dell’AVOD
Tornando alla definizione di streaming, c’è un altro esempio di business che può ricadere a buon diritto sotto questo nome, ma a cui il pensiero non corre immediatamente. Si tratta del modello secondo il quale un video viene fruito su una piattaforma online (sia in modalità registrata che in tempo reale) in maniera del tutto legale, ma nel quale non è necessario effettuare alcuna transazione. O almeno, alcuna transazione in denaro.
Se prendiamo come esempio YouTube, qualsiasi utente può streammare contenuti caricati in maniera gratuita e illimitata, previa la visione di inserzioni a pagamento.
I contenuti possono variare da video amatoriali a veri e propri documentari realizzati da professionisti, capaci di attirare un pubblico e garantendo al media introiti costanti. Questo modello è conosciuto come AVOD (Advertising Video on Demand).
AVOD e SVOD: Quali sono le differenze?
A primo impatto, la differenza tra i due modelli appare abbastanza evidente. Nel primo caso, l’utente sborsa una certa quantità di denaro ad intervalli costanti, garantendosi accesso a tutti i contenuti disponibili in misura illimitata, nell’intervallo di tempo in cui la sua sottoscrizione è attiva.
La quantità di denaro che entra in gioco è chiara per l’acquirente e determina un vincolo alle entrate del servizio di streaming.
In altre parole, le entrate del servizio sono vincolate al numero di abbonamenti venduti e al taglio di ciascuno di essi, ma non dipendono in alcuna misura dal numero di contenuti che un utente guarda o da quante volte lo guarda.
Viceversa, quando ci avviciniamo al mondo dell’AVOD, stimare con certezza le entrate del player diventa più complicato.
Infatti le entrate dipendono in buona misura dal numero di inserizonisti interessati a pubblicare inserzioni su quella piattaforma e dal budget che intendono investire.
La piattaforma ha dunque tutto l’interesse a massimizzare il numero di contenuti che gli utenti guardano, poichè ogni visualizzazione genera almeno una (o più) impression, da cui la piattaforma guadagna.
Con il passare degli anni, però, sembra che i mercati si siano ormai saturati e che un solo modello di business non sia più sufficiente a garantire la sostenibilità di questi servizi.
Ecco, allora, che assistiamo sempre più ad una ibridazione dei due modelli, volta a moltiplicare le entrate.
I servizi di Streaming e il modello ibrido
Il caso YouTube
Partendo da YouTube, il fatto che la pubblicità sia un fattore di estremo fastidio per gli utenti è sotto gli occhi di tutti.
Conscio di questo fattore, YouTube ha introdotto già da quache anno l’abbonamento Premium, dando l’opportunità agli utenti di pagare una sottoscrizione mensile (ad oggi 11,99 € al mese) per non dover più sopportare le interruzioni pubblicitarie.
Che cos’è questa, se non un’entrata a gamba tesa nel mondo dello SVOD, per far concorrenza ad altri big player?
Inoltre, fino a pochissimo tempo fa, i formati non-skip di YouTube avevano una durata massima di 20 secondi.
Di recente, però, sono stati introdotti in Beta alcuni formati non-skip fino a 60 secondi.
Questi formati, attualmente disponibili solo su CTV, potrebbero avere l’effetto collaterale di aumentare gli abbonamenti premium proprio per sfuggirvi.
Netflix e i suoi fratelli
Mentre YouTube faceva il suo ingresso nel mondo dello SVOD, i player SVOD hanno iniziato ad insidiarlo entrando nel mercato della pubblicità.
Nello specifico, alcuni player hanno lanciato nuovi tipi di sottoscrizioni che prevedono l’inserimento di annunci commerciali all’interno dei contenuti video.
Il primo ad annunciare la sua entrata in questo mercato a livello italiano è stato Netflix. Alla fine del 2022, il colosso americano ha lanciato un piano con advertising a partire da 5,49€ al mese.
Sebbene tale piano preveda delle limitazioni rispetto ai premium (minore numero di profili abilitati, impossibilità di scaricare i contenuti), a fine 2023 contava circa 15 milioni di abbonati a livello globale.
A fine 2023 anche Disney+ ha lanciato il suo piano con pubblicità a partire da 5,99€ al mese, mentre Amazon Prime Video ha annunciato questa svolta per il 2024.
La versione con pubblicità, che è già disponibile in USA, arriverà in Italia in primavera.
Questo tipo di sottoscrizioni rappresenta quindi una doppia entrata per il player. Da un lato, il servizio si garantisce un’entrata minima tramite il prezzo base dell’abbonamento. Dall’altro, incrementa i suoi guadagni tramite gli introiti pubblicitari.
Le implicazioni per gli inserzionisti
Quali sono le implicazioni per gli inserzionisti di questi due diversi modelli? Vediamole insieme.
La convergenza tra SVOD e AVOD rappresenta un’opportunità interessante per gli inserzionisti, ampliando il numero di touch point tramite i quali l’utente può essere intercettato.
Pubblicare la propria inserzione nei programmi di punta delle principali piattaforme di streaming è senz’altro l’opportunità di raggiungere un posizionamento premium.
Inoltre, l’utente viene intercettato in un momento di alta ricettività perchè sta seguendo un contenuto di suo interesse ed è disposto a guardare lo spot nella sua interezza.
Come se non bastasse, le piattaforme di streaming propongono contenuti di ogni genere.
Fare pubblicità durante uno specifico programma rappresenta una modalità di targeting contestuale molto precisa.
È chiaro, quindi, che la pubblicità all’interno dei servizi di streaming apre molte porte. Rende possibile una migliore penetrazione nel mercato, in associazione a contenuti e contesti che l’utente percepisce in modo favorevole.
Inoltre, andando a lavorare sul mondo delle connected TV, permette una fruizione collettiva del contenuto pubblicitario, al contrario di quanto avviene sui personal devices.
È anche per queste sue caratteristiche che si prevede una crescita vertiginosa dell’AVOD nei prossimi anni, fino a toccare i 3 miliardi e mezzo di utenti nel 2027.