Nell’era della digitalizzazione e della globalizzazione, il concetto di “lavoro” ha subito una profonda trasformazione.

Emergendo dalle ceneri delle modalità lavorative tradizionali pre-Covid, il nomadismo digitale si è affermato come una modalità lavorativa possibile, che combina la libertà di movimento con la capacità di rimanere connessi e produttivi.

Secondo le statistiche sul nomadismo digitale infatti sempre più lavoratori hanno approfittato delle possibilità offerte dal lavoro da remoto per esplorare stili di vita geograficamente più mobili o per rilocarsi altrove.

Liberarsi dai vincoli geografici, offre nuove opportunità ma anche nuove sfide.

Mentre la promessa di libertà e flessibilità attrae molti, è essenziale chiedersi: dove si trova il confine tra la libertà offerta dal nomadismo digitale e il rischio di burnout? E come possono le aziende e i lavoratori navigare in questo equilibrio delicato?

Tra opportunità e sfide: le due facce della libertà

Il nomadismo digitale viene spesso idealizzato e presentato come uno stile di vita bucolico. All’origine di questo cambiamento c’è sempre una ricerca di maggiore libertà e autonomia professionale, figlia dello stesso bisogno di affermazione personale che ha portato a far emergere il fenomeno del Quiet Quitting.

LEGGI ANCHE: Il Quiet Quitting non è (solo) lavorare meno, ma lavorare meglio

nomade digitale in spiaggia stereotiponomade digitale in spiaggia stereotipo

E in effetti alcune opportunità offerte dal nomadismo digitale sono ineguagliabili e stanno riscrivendo le regole tradizionali del lavoro. Al centro di questi benefici vi è, innanzitutto, la libertà geografica. Questa nuova modalità di lavoro permette ai professionisti di svolgere le proprie attività da qualsiasi luogo, purché vi sia una connessione internet.

Questa libertà non si traduce soltanto in un cambiamento di scenario, ma anche (soprattutto nel caso degli imprenditori o quando il datore di lavoro sposa questa filosofia) in una flessibilità oraria che consente di adattare l’orario di lavoro alle proprie esigenze e ritmi personali.

Questo determina a sua volta un potenziale miglioramento della qualità della vita. La possibilità di bilanciare in modo più armonico vita lavorativa e personale, evitando lunghi spostamenti quotidiani e scegliendo ambienti di lavoro più consoni alle proprie necessità, può tradursi in un maggior benessere generale e in una riduzione dello stress lavorativo.

Se combinato anche con un’immersione in nuove culture e stimoli, questo stile di vita può permettere di acquisire nuove competenze, approcci e visioni del mondo.

Come spesso capita però, l’altra faccia della medaglia è fatta dei medesimi aspetti, ma rovesciati. Il nomadismo digitale infatti, pur offrendo innumerevoli opportunità di libertà e flessibilità, presenta anche delle sfide significative che possono influire sul benessere dei lavoratori.

Uno degli studi più interessanti su questo argomento è quello di D. Cook, “The freedom trap: digital nomads and the use of disciplining practices to manage work/leisure boundaries“, che per quattro anni ha esplorato come i nomadi digitali organizzano la propria esistenza tra lavoro e tempo libero.

Tra le principali difficoltà riscontrate dai nomadi digitali, come emerge dallo studio, troviamo proprio la gestione del tempo. Come è diventato evidente con lo smart working durante e dopo la pandemia, senza un ambiente di lavoro tradizionale e orari fissi, stabilire confini chiari tra le ore lavorative e il tempo libero può diventare una sfida.

Questa sovrapposizione tra lavoro e relax è ancora più vera per i nomadi digitali, che includono un’ulteriore variabile nell’equazione: quella del movimento più o meno frequente.

Infatti, così facendo aumenta notevolmente anche la probabilità di incorrere in altri problemi, come quelli legati alla connettività, che possono causare interruzioni nel flusso di lavoro, ritardi e frustrazioni, mettendo ulteriormente alla prova la resilienza del lavoratore.

Infine, l’adattamento continuo a nuovi ambienti e culture può essere sia un’opportunità che una sfida perché richiede una capacità di adattamento costante.

Come emerge anche dallo studio, è ovvio pensare che la libertà offerta dal nomadismo digitale non sia “gratuita”: viene al prezzo di un’elevata auto-disciplina e di compromessi a volte difficili da sopportare a lungo termine.

Ma finché i media raccontano una storia fatta di guacamole e laptop su spiagge caraibiche e di stili di vita ideali, le persone che decidono di intraprendere questo stile di vita lo fanno spesso inconsapevoli delle difficoltà.

È essenziale invece che i lavoratori siano consapevoli delle sfide inerenti e adottino strategie per gestirle efficacemente, al fine di garantire un equilibrio sano tra lavoro e vita personale.

Il Burnout nel contesto del nomadismo digitale

Queste sfide infatti, specie se sottovalutate a lungo, possono contribuire al fenomeno del burnout.

Come lo ha definito Maslach negli anni ’80, il burnout è considerabile come la “sindrome di esaurimento emotivo, di depersonalizzazione, di ridotta realizzazione, che può insorgere negli operatori […]”. È un rischio ormai ben noto nelle organizzazioni e uno dei principali capi d’accusa che spingono le aziende a investire in strategie di benessere al lavoro, ma argomento ancora poco affrontato per freelance, imprenditori e sicuramente nell’ambito del nomadismo digitale.

LEGGI ANCHE: Benessere al lavoro: perché è sempre più centrale per le strategie di people&culture

nomade digitale stressatonomade digitale stressato

La costante mobilità infatti, seppur affascinante, può causare una sensazione di instabilità. La mancanza di una base fissa, di un luogo da chiamare “casa”, può a volte tradursi in una sensazione di disorientamento, dove il lavoratore si trova a dover continuamente adattarsi a nuovi ambienti, culture e fusi orari.

Questa continua adattabilità, se da una parte è una risorsa, può diventare una fonte di stress cronico.

In un altro studio in effetti Ina Reichenberger propone tre categorie di nomadismo digitale su una scala ascendente di mobilità:

  • Il primo livello indica coloro che hanno la capacità di essere lavoratori mobili attraverso la tecnologia digitale, ma che sono principalmente statici.
  • Il secondo livello indica le persone che hanno un domicilio ma viaggiano e lavorano a intermittenza.
  • Il terzo livello indica coloro che viaggiano e lavorano costantemente, senza una casa/base.

Spesso questa scala risulta essere inversamente proporzionale all’anzianità da nomade digitale, con una fase giovane dedica al movimento costante e una fase matura via via più incline a stabilirsi, o a ridefinire il viaggio come dei periodi medio-lunghi di mobilità stanziale.

Ma anche in questo caso, il rischio di burnout resta alto perché rimane la difficoltà di separare il “tempo di lavoro” dal “tempo libero”. Lavorare da spiagge esotiche o caffetterie in città affascinanti può sembrare idilliaco, ma la tentazione di mescolare lavoro e piacere può portare a giornate lavorative prolungate, senza una chiara distinzione tra orari di lavoro e momenti di relax.

Questa sovrapposizione può facilmente portare a un eccesso di lavoro, dove il confine tra la professione e la vita personale diventa sempre più sfumato, stimolando i sintomi del burnout quali il sentirsi stanchi, impotenti, intrappolati, sopraffatti, distaccati, polemici, la tendenza a procrastinare, fino a mettere in dubbio la propria identità.

Non aiuta il peso percepito della decisione di diventare nomadi digitali: essendo ancora una scelta di vita controcorrente e che richiede delle rinunce (spesso alla sicurezza del lavoro da ufficio tanto desiderata dalla nostra società), è difficile per chi percepisce queste sensazioni stranianti accettarle o ammettere di trovarsi in difficoltà.

Strategie di prevenzione del Burnout per i nomadi digitali

La tendenza naturale a spostarsi tra i tre livelli visti prima con l’avanzare della durata del nomadismo digitale è una delle prime soluzioni che i nomadi digitali adottano.

Ma forse dovrebbero iniziare a seguire la stessa strada anche gli aspiranti nomadi, iniziando con periodi più stanziali che di viaggio e transitando lentamente verso gli altri livelli, invece di puntare il carico da novanta sulla “vita in viaggio”.

Per quanto riguarda la tendenza a mescolare costantemente lavoro e tempo libero, invece, dagli studi emerge l’importanza di stabilire una routine e mantenere una disciplina.

Una routine ben definita aiuta a stabilire confini chiari tra il tempo di lavoro e il tempo libero, garantendo che entrambi siano rispettati e valorizzati.

È essenziale riconoscere l’importanza di prendersi delle pause e “staccare” regolarmente, comprendendo che disconnettersi periodicamente dal lavoro e dalla tecnologia può effettivamente aumentare la produttività e il benessere generale. Per il nomade digitale, che in apparenza vive tutti i benefici della sua libertà sottovalutandone i sacrifici, può risultare ancora più difficile farlo.

Sempre secondo Cook le tecniche di auto-disciplina che si possono impiegare per ripristinare l’equilibrio sono sia esterne (deadlines, orari di lavoro fissi, calendarizzazione delle attività di piacere oltre che di quelle lavorative, etc) che interne (coltivare intrinsecamente la propria capacità di gestione del tempo e dello stress).

A questo scopo, l’adozione di tecniche di mindfulness può offrire ai nomadi digitali gli strumenti necessari per gestire lo stress in modo proattivo.

La mindfulness, o consapevolezza, aiuta a riconoscere i segnali di stress e a rispondere in modo più calmo e centrato, piuttosto che reagire in modo impulsivo. Queste tecniche possono includere la meditazione, la respirazione profonda e la pratica della gratitudine.

Infine, è fondamentale la parte di socialità. Questo stile di vita può anche portare a un senso di isolamento, dato che i nomadi digitali spesso si trovano lontani dalle loro reti di supporto tradizionali. La mancanza di interazioni sociali regolari, sia nel contesto lavorativo che personale, può contribuire a sentimenti di solitudine e alienazione.

Ecco perché è essenziale per i nomadi digitali cercare attivamente opportunità di socializzazione. Questo può includere andare a lavorare nei coworking, la ricerca di comunità locali di nomadi digitali o semplicemente l’impegno in attività sociali nel luogo in cui si trovano.

burnoutburnout

La connessione con altri “simili” non solo fornisce un senso di appartenenza, ma offre anche l’opportunità di condividere esperienze, sfide e soluzioni con persone che possono comprendere e relazionarsi con lo stile di vita nomade.

Ma anche mantenere legami con amici e famiglia a distanza, nonostante la diversità di stile di vita, può fornire un supporto emotivo essenziale.

Il ruolo delle aziende nella nuova epoca dei nomadi digitali

In un’epoca in cui il lavoro da remoto è stato sdoganato come modalità altrettanto (se non più) produttiva di quello in ufficio, il nomadismo digitale sta diventando sempre più popolare, e le aziende si trovano di fronte alla sfida di adattarsi per continuare a raggiungere i migliori candidati, ma soprattutto di sostenere i loro dipendenti che scelgono questo stile di vita e lavorativo.

Questo supporto può manifestarsi in vari modi, dalla fornitura di strumenti tecnologici adeguati alla creazione di politiche aziendali flessibili che tengano conto delle esigenze uniche dei lavoratori in movimento. Inoltre, l’importanza della formazione e dell’aggiornamento non può essere sottovalutata.

I nomadi digitali infatti possono sentirsi isolati o fuori dal loop in termini di formazione aziendale e aggiornamenti. Le aziende, riconoscendo questo, possono implementare programmi di formazione online e workshop virtuali per garantire che i loro dipendenti nomadi siano sempre al passo con le ultime tendenze e prassi del settore.

La sfida diventa tanto più difficile per le aziende non remote-only, ovvero quelle che mescolano figure che lavorano in azienda con altre che invece lavorano interamente da remoto: in questi contesti più che mai servono politiche che sostengano l’integrazione e stimolino una cultura aziendale non solo remote-first, ma anche nomad-friendly.

Insomma, il nomadismo digitale è qui per restare, ma le sfide che porta ai singoli (e che forzerà nelle aziende mano a mano che diventa una conditio sine qua non per mantenere i talenti) non vanno sottovalutate.

Il rischio del burnout è dietro l’angolo, ma si può anche evitare facilmente riconoscendo il nomadismo digitale come una modalità di lavoro che non ha nulla a che vedere con il viaggio inteso come vacanza: ha bisogno di logiche diverse e di essere quindi affrontato in modo diverso, più maturo e consapevole.